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Arlecchino birra della bergamasca | Origini e storia della maschera

Arlecchino è il nome della Birra della Bergamasca che Birrificio OTUS ha dedicato a Bergamo Capitale della Cultura 2023. Seguiteci in questo viaggio alla scoperta delle origini della maschera bergamasca.

Arlecchino è uno dei cinque nomi che la Camera di Commercio di Bergamo ha scelto per identificare la Birra della Bergamasca. Anche Birrificio Otus, in occasione di Bergamo – Brescia Capitale italiana della Cultura 2023 ha prodotto una birra in edizione speciale dedicata alla nostra città e le ha dato il nome Arlecchino; la birra è conforme al disciplinare per la produzione della Birra della Bergamasca e può fregiarsi del marchio Bergamo, Città dei Mille… Sapori, attribuito ai prodotti tipici locali. Per l’occasione l’agenzia Mete ha creato una etichetta in cui il gufo del marchio Otus si trasfigura nella maschera di Arlecchino. La birra ha riscontrato un particolare apprezzamento da parte dei clienti, per gli aromi e il gusto, innanzitutto, ma anche per la simpatia del nome e il fascino del packaging. La redazione di Otus Trip, dunque, ha voluto indagare il rapporto fra la maschera, la storia e la cultura bergamasca.

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La nostra indagine sulle origini di Arlecchino comincia dalla Valle Brembana, che la tradizione vuole sia la patria della maschera, e ci conduce, prima, nel nord dell’Europa alla scoperta dei precedenti mitologici, poi nella Venezia del XVI secolo dove è nata la “star” della Commedia dell’Arte, e infine in America, dove Arlecchino ritorna sulla scena ispirando antieroi irresistibili come Harley Quin. Seguiteci in questo nuovo Otus Trip.

Nei carnevali della Valle Brembana sulle tracce di Arlecchino.

Chi è cresciuto in alta valle ricorderà che un tempo si “andava in maschera” vestendosi con abiti dismessi, scegliendoli fra i più colorati o stravaganti che si trovavano in casa e indossandoli al rovescio: le tasche dei pantaloni, per capirci, penzolavano all’esterno. Si indossavano più indumenti uno sopra l’altro fino ad occultare la propria forma fisica e maschere di diavoli sovente autoprodotte o ereditate dei genitori o dai nonni. In maschera si andava di sera, al buio, in piccoli gruppi e si entrava nelle case del paese muovendosi come “esseri selvaggi”, facendo versi, ma perlopiù in silenzio, cercando di impaurire gli ospiti; alcuni agitavano un bastone. Il tutto avveniva senza pronunciare una parola: guai a farsi riconoscere! Le famiglie accoglievano le maschere in un clima burlesco e donavano loro dolcetti.

In queste usanze ormai scomparse, soppiantate da costumi ed eventi il cui scopo ultimo è implementare l’acquisto di merci, possiamo facilmente rintracciare similitudini con gli aspetti esteriori della maschera di Arlecchino, per esempio il vestito multicolore, il randello (o bastone) e la sua attitudine ad esprimersi tramite le movenze del corpo. Possiamo inoltre intuire che i collegamenti fra questi rituali e la maschera sono più profondi e che probabilmente trovano origine in riti ancestrali del mondo contadino, connessi ai cicli stagionali.

Arlecchino è l’essere soprannaturale che cavalca in testa alla Caccia Selvaggia.

Un importante contributo alla nostra ricerca ci viene dalla leggenda della Casa Selvadega [Caccia Selvaggia], assai diffusa anche in Valle Brembana. Fino a pochi decenni fa la Casa Selvadega terrorizzava anche i bambini dell’alta valle e la prova della sua esistenza, secondo i genitori che ne parlavano sottovoce, erano i latrati di cani durante la notte. Si diceva che una masnada di esseri sovrannaturali si raccogliesse di notte per scatenare una furibonda battuta di caccia, con tanto di cavalli e segugi. Durante la Casa Selvadega bisognava restare chiusi in casa e serrare le finestre, assistervi portava sventura ed era pericoloso: si rischiava di essere rapiti e di fare una brutta fine.

Nella mitologia norrena è Odino che guida la Caccia, oppure Hell, figlia di Loki e della gigantessa Angrboda, accompagnata dalle Hellequins. Nelle versioni più comuni del mito è Hellequin o Herlequin che conduce la caccia e in alcuni casi si veste con brandelli di abiti delle sue vittime. Le varianti della leggenda sono molte, Dante, per esempio, pone Hellequin fra i diavoli dell’inferno, ma possiamo già intuire come il nome e la figura di Arlecchino derivino da Hell (o da Holle Konig, re dell’inferno germanico). Non a caso la maschera originale dell’Arlecchino della Commedia dell’Arte era nera ed aveva le sembianze di un essere maligno con una protuberanza rossa sul capo, residuo delle sue antiche corna diaboliche.

caccia selvaggia origini maschera arlecchino
Il dipinto Åsgårdsreien del pittore norvegese Peter Nicolai Arbo raffigurante la caccia selvaggia, 1872Galleria nazionale di Oslo

Arlecchino e l’Uomo Selvaggio di Oneta.

Un altro mito, questa volta dell’arco alpino, ci viene in aiuto in questa nostra ricerca delle origini di Arlecchino e delle sue radici brembane ed è quello dell’Uomo Selvaggio; una sorta di essere primordiale che vive ai margini della civiltà, nell’ambiente naturale, per sfuggire agli scherzi e ai pregiudizi degli uomini, depositario di saperi fondamentali quali l’attività casearia, agricola, mineraria, l’apicultura, ecc. Nei carnevali tradizionali delle Alpi l’Uomo Selvaggio sintetizza i caratteri di altre maschere, incluso quello trasgressivo di Arlecchino. Anche la sua maschera in alcuni casi assume aspetti diavoleschi e sovente impugna un bastone. L’Uomo Selvaggio è dipinto sopra l’ingresso della casa di Arlecchino, a Oneta in Valle Brembana, e nella tradizione del paese raffigura proprio Arlecchino.

“Una antica leggenda racconta di uno spirito guardiano dei boschi che raramente si mostra agli uomini. A volte, nei periodi più bui dell’inverno, il silvano si fa sentire, a volte con ululati, altre con versi di rapaci per allontanare gli avventurieri che osano entrare nei suoi territori. Raramente si inoltra nel regno degli uomini, solo se avverte un grande pericolo o un grave declino.” [Francesco Bellotto | Attore] | Fotografia di Francesco Bellotto (Instagram) :  L’omèn Selvadeg nella casa di Arlecchino a Oneta.

Nel XVI secolo i bergamaschi emigrati a Venezia ispirano le maschere della Commedia dell’Arte.

Il nostro viaggio prosegue e da Oneta andiamo nella capitale della Serenissima Repubblica. Venezia nel XV e XVI secolo è piena di bergamaschi che svolgono i lavori più faticosi e fra loro formano una comunità di emigrati attaccata alla propria identità. Facilmente riconoscibili in città per via della loro inconfondibile cadenza, i bergamaschi, soprattutto i valligiani, subiscono gli effetti di opinioni sprezzanti precostituite. Sono tali stereotipi negativi a stimolare la creatività degli Zanni quando danno vita ai personaggi comici che nella Commedia incarnano contadini bergamaschi ignorantissimi e dalla parlata sguaiata, vestiti con camicia e pantaloni, entrambi bianchi e larghi e legati in vita da una corda, dotati di una borsa che portano appesa al fianco sinistro. Nel XVI secolo dagli Zanni si origina la maschera di Arlecchino quale servo bergamasco sempre affamato, balordo e opportunista; sulla sua camicia e sui pantaloni vengono cucite pezze colorate e la borsa lascia il posto al noto randello, il Batocio, che utilizza per menar botte; la sua maschera di cuoio ricorda un animale o un essere maligno.

Maskenmuseum Diedorf Michael Stöhr, CC BY-SA 4.0 , via Wikimedia Commons

Il primo interprete di Arlecchino nella Commedia dell’Arte è il bergamasco Zan Ganassa.

Il primo interprete di Arlecchino di cui siamo a conoscenza è il bergamasco Alberto Ganassa, noto con il nome d’arte Zan Ganassa, e il suo costume di scena è composto da toppe colorate ricavate dagli abiti sgualciti della sua famiglia. L’Arlecchino di Zan Ganassa è ancora un po’ impacciato, ingenuo e talvolta rozzo, ma ben presto, nella Commedia dell’Arte, la maschera assume i connotati che la renderanno celebre: diventa dispettoso e irriverente e deride il potere, apparentemente è sciocco, ma riesce ad aver la meglio in ogni situazione. Nella recitazione è solito esprimersi con monologhi gran parte delle volte privi di senso; il suo linguaggio è licenzioso e immorale, impregnato di espressioni gergali e doppi sensi. Un suo tratto caratteristico è la capacità di esprimersi tramite i movimenti del corpo.

Fotografia di Francesco Bellotto: Arlecchino a Oneta

In Francia Arlecchino diventa più colto ed elegante.

Arlecchino diventa famoso anche in Francia (sappiamo che nel 1572 Zan Ganassa va in tournée all’estero con la sua compagnia di comici) dove, adattandosi al nuovo pubblico, diventa più colto ed elegante: il camicione e i pantaloni bianchi, punteggiati di toppe colorate, lasciano il posto al noto costume attillato e cucito con losanghe simmetriche rosse, gialle, verdi e azzurre, compare inoltre il grande colletto bianco; qui il suo repertorio di canzonacce popolari viene censurato e gli attori che lo portano in scena rinunciano alle parole più volgari.

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Harlequin_and_Columbine

Attualmente, in alcuni carnevali tradizionali, Arlecchino conserva le antiche sembianze di essere diabolico o di uomo selvaggio con fattezze semi animalesche, ma, perlopiù, la maschera ha perso i suoi caratteri originali: il servo irriverente della Commedia dell’Arte che burla e deride il potere ha lasciato il posto ad una icona commerciale svuotata di contenuti.

Gli Arlecchini di Picasso sono giovani malinconici che chiedono ed esprimono dolcezza.

A volte il diavolo Hellequin e il servo Arlecchino ritornano sulla scena sotto false sembianze e animano la cultura POP contemporanea. È il caso, per esempio, di Harley Quinn, antieroe dei fumetti della DC oggi associata al volto di Margot Robbie.

Harley Quinn è a tutti gli effetti un Arlecchino contemporaneo.

Harley Quinn è cinica, violenta e a volte crudele come il diavolo Hellequin ed è fuori di testa e senza riguardo per le regole, dispettosa, burlesca, beffarda come il servo Arlecchino. Ed è divertente! Si aggira armata di una mazza da baseball e il suo look a scacchi e losanghe come i suoi colori richiamano esplicitamente la maschera bergamasca.

Il carattere burlesco di Harley Quinn è magnificamente esaltato dai disegni di Frank Cho.

Frank Cho è un illustratore di origini coreane, disegnatore di numerosi supereroi e antieroi dei fumetti Marvel e DC e vincitore di Emmy Award. Celebre per le sue Graphic Novel popolate di eroine che disegna con impareggiabile delicatezza e verve umoristica, Frank Cho fa emergere tutta la complessità dell’Arlecchino che abita in Harley Quinn. Nei suoi disegni l’antieroina della DC è dolce e divertente, ironica e commovente, irresistibile… come la Maschera Brembana.

Arlecchino è da sempre una maschera contestataria, irriverente e ribelle.

A conclusione della nostra breve ricerca è necessario precisare che le ipotesi sulle origini di Arlecchino sono ancora numerose e discordanti e spaziano dai miti dell’antichità classica a quelli nordici sopra richiamati. In estrema sintesi possiamo dire che questa maschera si origina da figure mitologiche presenti in numerosi paesi europei, che assume le sembianze attuali a Venezia nel contesto sociale e culturale che porta alla Commedia dell’Arte, che trova fortuna in Francia e che ora appartiene di fatto alla cultura europea. In questo percorso millenario di costante trasformazione della figura mitologica originale, nel XV e nel XVI secolo si inserisce il contributo dei valligiani bergamaschi emigrati a Venezia; i modi, il linguaggio e lo spirito con il quale affrontano i pregiudizi sociali nella Serenissima Repubblica svolgono un ruolo fondamentale nella definizione della maschera di Arlecchino, ispirandone gli aspetti costitutivi che lo renderanno famoso e poi protagonista della Commedia Dell’Arte.

La statua colossale di Arlecchino accoglie i visitatori all’ingresso della Valle Brembana.

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La casa di Arlecchino a Oneta

“Tutti i giorni mi alzo, sciacquo la faccia e indosso il vestito migliore. Solare, positivo e felice porto colori e stuzzico la vita delle persone. Talvolta la sera sono da solo. E rifletto.” [Francesco Bellotto | Attore] | Fotografia di Francesco Bellotto: Arlecchino nella casa di Oneta.

La tradizione vuole che Arlecchino sia originario di Oneta, borgo storico della Valle Brembana. La casa di Arlecchino, ora restaurata e adibita a Museo della Maschera e della Commedia dell’Arte, è un edificio signorile di epoca quattrocentesca che in origine apparteneva ai Grataroli, nota famiglia del luogo che fece fortuna emigrando a Venezia.

Chi volesse visitarla deve superare l’abitato di San Giovanni Bianco in direzione dell’alta Valle Brembana e imboccare la vecchia mulattiera che dalla strada provinciale in pochi minuti conduce a Oneta: un piccolo gruppo di case antiche, vicoli porticati e piazzette che formano un gioiellino di architettura rurale, perlopiù spontanea. Le origini di questo storico borgo immerso nel verde, che è giunto a noi sostanzialmente intatto, vanno cercate nell’Alto Medioevo.

La chiesetta del Carmine custodisce alcune tele del Ceresa e vari affreschi, fra questi merita una menzione quello che raffigura San Cristoforo, posto a protezione dei viandanti dell’antica via Mercatorum, più nota ai bergamaschi come strada dei Trafegàncc [Trafficanti]. Vari e interessanti sono i dettagli edilizi, i ballatoi in legno, per esempio, conservano la forma originale, tipica della valle, e testimoniano le antiche, essenziali, tecniche di carpenteria popolare.

FATTI UN OTUS TRIP CON ARLECCHINO, LA BIRRA KELLER IN EDIZIONE SPECIALE DEDICATA A BERGAMO E ALLA SUA CULTURA.

Otus Arlecchino è prodotta in stile Keller e ha un carattere agreste, gli ingredienti della cotta sono 100% italiani e nella scelta delle materie prime abbiamo favorito la filiera corta con l’intento di valorizzare i prodotti locali: l’orzo, per esempio, è coltivato da Otus a pochi chilometri dal birrificio ed è una varietà appositamente selezionata dal nostro birraio Alessandro Reali. Se ancora non l’avete fatto, quale migliore occasione del Carnvale appena passato per assaggiare Arlecchino?

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